"Nüm del Burgh"... cun quei de la Madalena
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"Amarcord"

"Pensieri e Ricordi" di Sergio Zanaboni

 

 

 

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"Fatica e povertà,

ma quei tempi erano davvero indimenticabili"

Il tempo trascorre veloce, ma i ricordi del passato tornano sempre nel cuore. Due settimane fa ho scritto una lettera per

il Cittadino riguardo alla storia dei bar e delle osterie della Città bassa; ancora oggi rivedo spesso le figlie del sig. Coppaloni,

gestore del Bar “La Büsa”e anche il sig. Nello Rovida della Tabaccheria. Mi riempie di gioia quando i figli dei gestori dei

bar di un tempo mi ringraziano perché ho ricordato i loro genitori. La cosa più bella è stata quando il figlio del sig. Ferrari

mi ha ringraziato per aver ricordato il padre, al tempo chiamato Pinetu, mostrando la foto della sua Trattoria

“La Mezzaluna”, effettivamente dalla foto si vede il ponte dell’Adda e Mezza Luna nel lato destro dell’insegna, prima chiamata

con il nome Trattoria La Rocchetta in piazza Barzaghi dove apparivano in bella mostra la tenda da sole con la scritta, i tavoli

e le sedie. Questo era il ritrovo preferito dei portalettere, dei calciatori locali e di molte altre persone che qui amavano

incontrarsi nel tempo libero. Dopo il portone, dove ora ha sede la Banca Popolare, in passato c’erano due negozi, il primo

vendeva articoli per caccia e pesca, il secondo era il negozio di biciclette e moto dei fratelli Dacosto.

Nella zona allora c’erano ben sette negozi che riparavano biciclette e moto, a proposito ricordate le moto dell’epoca?

Il famoso Paperino, il Motom aquilotto, la Guzzi, il Parilla, il Gilera, il Trotter, il Danni Velosolex! Ricordo con affetto

il sig. Pinetu, il quale, prima di diventare gestore del bar, aveva alle spalle una vita umile di sacrifici, essendo stato barcaiolo

e straccivendolo. Della sua prima attività di barcaiolo amava ricordare come doveva dividere la ghiaia bianca da quella

grigia e come si facevano le montagne di sabbia. Con orgoglio rammentava anche la sua abilità come vogatore alla veneta

nel canottaggio e la medaglia di bronzo vinta nel nuoto.
Il lavoro a quei tempi era faticoso; c’era chi trasportava la legna con il carretto oppure chi (detto “il giasirol”) con il triciclo portava

le colonne di ghiaccio che poi venivano tagliate su misura per le necessità dei compratori.
Queste attività non erano certo fonte di grande guadagno, ma a tutti era stato insegnato il rispetto per il lavoro dai propri padri, qualunque esso fosse, anche il più duro. Nel poco tempo libero che rimaneva la domenica si aspettava con ansia di giocare

una partita di pallone, di incontrare gli amici al bar, di distrarsi in qualche sala da ballo o al cinema.
Erano tempi in cui con semplicità ci divertivamo e la felicità era forse più a portata di mano di quanto non sia ora!

Sergio Zanaboni

"Vita semplice ma felice, tanta nostalgia per quei tempi"

Il tempo passa veloce, ma discorrendo con gli amici affiorano ricordi comuni che si sono stampati nella nostra memoria:
Ti ricordi di quel luogo?” o “Ti ricordi di quel tale?” Queste chiacchierate tra amici mi hanno fatto ripensare alle antiche

osterie e ai vecchi bar del Borgo a Lodi, oggi scomparsi e sostituiti da locali e bar alla moda. Nelle vie della Città Bassa,
dove ho trascorso gran parte della mia vita, se ne incontravano molti.
Scendendo per Corso Adda, nelle vicinanze del Cinema Moderno, si trovava l’Osteria conosciuta come
“Osteria delle sette coltellate (Le set curtelade)” perché si diceva che al settimo bicchiere si raggiungesse la “felicità”;
alcuni invece pensavano che fosse avvenuto un violento litigio tra due persone verso la fine dell’Ottocento
e i primi anni del Novecento.
Proseguendo si incontrava poi lo storico Bar Marco, dove molti autobus di linea avevano la fermata.
La sua fama era anche legata al fatto che aveva fondato una squadra di calcio. Passando da Via Oldrado Da Ponte
(oggi conosciuta come la Via della Pittura, in quanto i commercianti della zona promuovono nel mese di maggio
un fine settimana dedicato ai pittori locali) e arrivando all’angolo di Via Lodino, si incontrava la famosa Osteria
del sig. Joli; all’ingresso c’era un tavolino dove la moglie del gestore stava seduta, un bancone dove venivano servite
le bevande e il famoso lavello per caraffe e bicchieri chiamato la “Baciacia”. In questo luogo si ritrovavano molte persone
la sera per una partita a carte, quattro chiacchiere e un bel sorso di vino, dopo una pesante giornata di lavoro.
A questa osteria è collegato un aneddoto della mia adolescenza: a 12 anni, spinto da una forte curiosità, decisi di entrare
per chieder spiegazioni alla moglie del proprietario riguardo alle caraffe nelle quali veniva servito il vino;
queste caraffe erano appese ad una tavola di legno con dei ganci ed erano contrassegnate con delle sigle e delle righe
fatte a gesso.
Quando la signora mi vide in quel luogo si arrabbiò, ma prontamente le spiegai che desideravo da lei una spiegazione per
le “strane” caraffe. La signora, seduta al tavolino, come fosse una scrivania, mi spiegò che le sigle corrispondevano

ai nomi dei clienti e le righe ciò che essi dovevano pagare alla fine della settimana. Uscii soddisfatto di aver scoperto

una cosa nuova e di aver trovato le risposte che cercavo.
Ricordo anche l’Osteria Maggi con i suoi campi di bocce e dove, se la memoria non mi inganna, si ballava In Via Lodino,

angolo Piazza Barzaghi si trovava il famoso Bar Ring del pugile Uboldi che nella sua carriera riuscì a competere con
campioni italiani e americani; come dimenticare il bancone in vetro che riportava immagini di famosi pugili!
In piazza Barzaghi il bar del sig. Pinetu era invece famoso perché legato a una squadra di calcio da lui fondata.
Ho avuto il piacere di conoscere bene il proprietario che, prima di gestire il bar, lavorò a Milano, dove io stesso ho lavorato

per lunghi anni. Durante il viaggio verso la grande Milano, il sig. Pinetu teneva tutti svegli con la sua allegria e simpatia

raccontando aneddoti del suo lavoro ed era solito dire che “se i milanesi i gan bisogn” dovevano passare nel suo
magazzino e nel suo ufficio.
Poi ricordo il Bar Tabaccheria del sig. Malusardi, il cui figlio Remo fu mio compagno alla scuola elementare.
Il sig. Malusardi era appassionato di pittura, nonché pittore (ricordo un suo quadro nel Santuario della Madonna di Fontana).

Forse per questa sua passione, il suo bar era frequentato dal famoso pittore lodigiano Giuseppe Vailetti in quanto era sua

consuetudine vendere le sue opere nei bar locali. Questo pittore, che oltre a dipingere quadri, decorò anche parecchi edifici

nel Lodigiano e fu insegnante alle Scuole del Ponte, trasmise ai suoi figli, Benito e Santino, l’amore per la pittura e visse in

condizioni misere in una casa sul retro del Bar Portoso.
Poi arriviamo allo storico Bar del Burg, la Büsa, punto di ritrovo per tanti burghesani, sulla destra la Tabaccheria Rovida
e proseguendo la Trattoria Opizzi, con campo di bocce e una squadra di calcio che riportava il nome Groppi,
famosa ditta di liquori italiani.
Più avanti l’Osteria del sig. Verdelli la cui antica insegna, “Osteria dell’esercito”, è tuttora visibile. Poi si incontravano

l’Osteria di Sangalli, con in campi da bocce nel cortile e sul lato destro il Bar Nicola dove all’interno, nel cortile,
si trovavano molti gabbiotti delle lavandaie.
Una ventina di metri più avanti, sul lato sinistro, il Bar di Gigi e sua moglie Pina con la bocciofila e la sede della

Società Gandelli. Ricordo anche che il fratello della sig.ra Pina, all’epoca lavorante nel bar, era stato da giovane un

grande portiere di calcio, da cui il suo soprannome Piola (famosissimo giocatore di serie A in quegli anni) e la fama del suo locale

fu tale che il rinomato cantante Segalini Paolo, anch’egli burghesan, spesso rallegrava i clienti intonando, con la sua bella voce,

alcune canzoni di quell’epoca. 
Chiudevano la rassegna la stretta Osteria del Gancino, dove il sabato e la domenica si ballava, e lungo il fiume Adda,
l’Osteria chiamata “El Bacalin” con i suoi campi di bocce e sede della società “La Vittoria”. Purtroppo la piena del fiume
nel 1951 la distrusse in quanto fu tanto violenta da far assomigliare la città bassa ad una Venezia in miniatura.
Oggi mi trovo a passeggiare per queste vie che riportano solo alcune tracce di ciò che è stato in passato.
Spero che chi ha vissuto in quella zona in quell’epoca ricordi con piacere e tanta nostalgia la vita semplice, ma serena
di quegli anni.

        

Un ringraziamento a Mario e a Greta per avermi supportato.

          Grazie a Mario, Augusto ed Erminio, sempre nei nostri ricordi.

Sergio Zanaboni

"Quelle vie del Borgo e della Maddalena ora sono deserte"


 

Era l’ultima domenica di aprile ed il mio amico Angelo terminava la sua partita di scopa d’assi con alcuni compagni:
io sempre presente come arbitro per le varie battute e Piero che si confermava il più forte e anche stavolta aveva

fatto “Napoleone” a tutti. Accompagno dunque Angelo a casa e così rivedo il mio quartiere a Lodi. Ci incamminiamo fino
a dove si svolta in via Padre Granata ma poi proseguiamo fino alla via che conduce al ristorante Isola Caprera.
Qui anni fa la domenica si ballava e una volta arrivò anche la famosa cantante Mina con la sua orchestra.
Mina conobbe quella volta Bruno Peroni, famoso e bravo ballerino di boogie woogie e di rock-and-roll, soprannominato “Sei”.

Quando Mina gli chiese il significato di quel soprannome, Peroni rispose: “Cinque più uno è uguale a sei”.
In quel periodo a Lodi c’erano tanti altri uomini con la passione del ballo: Stanghellini, Boienti, Bossi, per non dimenticare

anche il bravissimo Mario Ceresoli che in piscina comunale perse la vita tuffandosi dal trampolino.
Mi ricordo che guidava una Lambretta. Sua mamma aveva una vendita di fiori in piazza del Duomo angolo via Incoronata:
gli amici del figlio, in suo ricordo, le davano una mano il sabato e la domenica. Dal lato sinistro del ristorante c’è un cancello

passando il quale si arrivava al campo delle lavandaie, sempre pieno di fili stesi e pali a sorreggerli e tanti tanti panni

al sole ad asciugare.
Una signora stava chiudendo il cancello ma mi fece passare. “Vado verso Revellino ,le dissi, Si ricorda cosa c’era qui?”.
Mi rispose di sì e mi sovvenne che abitava alla Maddalena, il rione avversario del Borgo.
“Il cancello viene chiuso, aggiunse, perché vengono commessi vandalismi”.
Il mio pensiero torna alla domenica, quando per tutto il pomeriggio le donne giocavano a tombola lungo il muro di recinzione

del campo dell’Azzurra, in attesa che i panni asciugassero.
Noi ragazzi, dalla parte opposta, gridavamo dei numeri per farle sbagliare; a volte si accorgevano e ci facevano scappare.
La domenica sera era il ritrovo delle coppiette e noi andavamo a disturbare, lanciando avvertimenti:
“Guarda che ghe la disi a to mama…”, “Guarda che ciami to papà…”, e poi via di corsa. Ripasso sempre dal Borgo Adda
e nelle vie della Maddalena in diverse ore della giornata e le trovo sempre deserte.
Ripenso a quante persone ci abitavano, ogni portone era aperto, i panni stesi sui balconi e sulle ringhiere, i loro colori
davano un gran senso di vita. Passando dal Borgo trovo sulla porta di casa Ennio G., un amico dai tempi dell’oratorio,
e lo saluto con piacere. A quei tempi, quando si andava in via Vistarini alla sera, si incontrava la ronda militare
e i soldati in libera uscita, la pattuglia che partiva a piedi per andare al deposito munizioni situato a Campo Marte,
dopo il ponte.
Penso che una presenza in questi tempi di militari (uomini e donne) in città darebbe un po’ di sicurezza e di ordine

alla nostra vita che è cambiata in senso negativo, con molta amarezza anche a causa di tutto quello che si sente

e si vede alla televisione.

Sergio Zanaboni

L’ Isolotto. Nomadismo dei luoghi e delle parole

 

 

I luoghi, come le parole, sono nomadi, appartengono al nostro vagabondare, prima ancora che al nostro vocabolario.
Non so chi lo disse o lo scrisse, semmai sia stato detto o scritto da qualcuno: gli uomini non hanno mai abitato il mondo,
ma sempre e solo la descrizione che di volta in volta le parole, i ricordi, la nostalgia, il desiderio e il rimpianto hanno dato.
Il senso, il fine, degli eventi è in essi, prima che nella storia. So perfettamente che dirlo toglie al linguaggio della
filosofia e della religione tutte le parole di orientamento e stabilità. Ma se pensiamo alla storia della terra che da
terra-madre il mito ha dischiuso a scenari cosmici e che la scienza, arrivata dopo secoli, coi suoi strumenti

e apprendimenti gli ha dato nuove genealogie, l’idea non è poi tanto strampalata anche se macinata adré Ada.
Lodi, per esempio, è alla ricerca di una “identità”: d’arte, turistica, ambientale, economica… Siamo inclini a credere
che le regole e le circostanze del marketing siano le sole ad avere importanza. Fino a ieri non c’eravamo mai affaccendati

attorno a queste costruzioni psicologiche. Sapevamo che certe cose esistevano per la matrice corporea, nient’altro.
Oggi invece cerchiamo uno specchio entro cui scoprire riflessa l’immagine della nostra identità e neppure ci accorgiamo

che l’immagine non è sovrapponibile ma simmetrica, la destra diventa la sinistra, e siccome le due parti non sono

identiche l’espressione è sempre diversa.
Perché allora tornare a parlare dell’Adda, del suo modello di corso d’acqua, del posturale Isolotto, comparso all’improvviso

tanti decenni fa, della sua bellezza, delle eccitazioni libidiche che procurava ai fioi del Burg della mia generazione,
dei modelli carichi di significati sociali che si possono indagare in quei nostri comportamenti?.
Aqua, aquéta, fugarin..., perché farlo oggi che siamo tanto lontani, che non esistono più certi confini e non si dispongono
più certi criteri, neppure di bellezza, essendo questo ideale e la sua misura il frutto di una socializzazione dell’immagine
che si è svanita col tempo ? Oggi che l’Isolotto in mezzo all’Adda ha una conformazione corporea diversa, residuale e nessuno

si sente più attratto da andare alla sua scoperta, come si faceva noi con spirito d’avventura davvero salgariano?
Semplicemente perché ancora una volta facendoci uscire dall’abituale e quindi dalle nostre presenti abitudini, la nostalgia
e le parole che visi collegano ci espongono all’insolito dove è possibile scoprire, magari per una sola notte o per un giorno,

come il cielo si stenda sopra di noi, come la notte dispiega nel cielo costellazioni ignote, come la religione aduna

le speranze, come la tradizione fa popolo, l’abbandono fa deserto, il fiume fa ansa, la terra fa solco e tradizione

e scopriamo che c’è bisogno di fissare queste esperienze che altrimenti sfuggono, di recuperarle, di disporle in successione

ordinata.
Perché, appunto, le parole sono nomadi, come lo sono i sentimenti, la percezione delle cose, le esperienze del mondo
che fuggono e che ritornano cambiate, il non senso che contamina il senso, il possibile che eccede sul reale.
Come l’Isolotto, appunto, che prima non c’era e poi è comparso, si è irrobustito, è divenuto adulto, come un corpo,
per conoscere oggi all’improvviso nuovamente la desolazione della terra sciagurata, l’enigma della passività, il silenzio
della dissoluzione, l’indifferenza (o l’intervallo?).
Da un certo punto della storia dell’Adda anche l’Isulot ha avuto la sua storia. Stando a certi racconti di scuola francese
è da quando la Badessa di Castelleone trovò riparo e conforto nelle braccia di un bel tenentino.
Da qui, probabilmente, la tematica affiliativa che animò nel dopoguerra i numerosi racconti delle nostre lavandère.
Ha avuto anche proprietà (o così dette). Nel 1915, mentre l’Italia entrava in guerra con l’Intesa, Lee Masters pubblicava

l’Antologia di Sponn River ed Ezra Fund la prima serie dei Cantos e Pizzetti, amico del lodigiano Spezzaferri, musicava Fedra,
Rosa Bonanni l’ottenne in usufrutto. Beneficio che passò subito un anno dopo, nel 1916, mentre si battagliava
a Verdun, sulla Somme, sull’Isonzo e nel Trentino - a Giovanna e Giovanni Pacchierini.
Nel gennaio 1936, dopo l’invasione italiana dell’Etiopia e la rivolta militare di Franco in Spagna, con l’aiuto di Italia
e Germania, Enrico Achilli, bersagliere e direttore del Rococò, ne divenne titolare. Lo denominò subito Isolotto-Fanfulla,
ma per la gente comune sarà subito l’Isulot de Kilu, l’isola misteriosa dove si tengono festini, si incontrano
i camerati e si danno convegno i bersaglieri. Al termine del plateatico subentrò infine Luigi Meani, assessore all’urbanistica
di Lodi e titolare del Ristorante Isola Caprera.
Per Nüm del Burg la storia dell’Isolotto è più semplicemente una storia di scorrerie.

I suoi alberi carichi di frutta rappresentavano una tentazione e un invito. In barca o in sandolino od anche a nuoto, come

tante tigri di Mopracen (Salgari), ne andavamo all’assalto di sabato e domenica, in orari comandati. La fame era molta e dettava
le sue leggi, ma c’era anche, a guidarci, il senso dell’avventura e il piacere che procurava l’aggirarsi tra le colonne maestose

che facevano arredo e la casetta dalle linee favolistiche.
Ma come ogni storia ha già nelle sequenze del racconto la sua morte, anche l’Isolotto testimonia tutto il possibile,
il passaggio dei “pirati” adolescenti alla nuova stagione della vita, e le precauzioni adottate con ripetute recinzioni del territorio

da parte della proprietà. In una parola, Quell’ordine che ha ricacciato tutto nelle cantine della memoria.
Abbiamo continuato, è vero, a guardare all’Isolotto, ma senza gli occhi sognanti di quando cercavamo di dare contegno

alle nostre trasgressioni. Lo abbiamo continuato ad ascoltare nelle murmure dell’acqua abduana, ma non ne abbiamo

saputo raccogliere il messaggio. L’Isolotto, non protetto muta, ha perso la sua sicurezza in mezzo all’Adda, ha assunto

uno sguardo cattivo, rischia l’innominabile. Ci chiede di salvarlo, anche da chi fa confusione di codici.
Come non registrare questa inquietudine che muta? In noi personalmente ha risvegliato malinconie radicali che nessun scritto

o foglio riuscirebbe a contenere perché il volume delle sensazioni e troppo al di là delle parole a disposizione.

Sergio Zanaboni

 

Grazie al “ Pula ”- Il ricordo di un Amico

Al tempo dalla nostra infanzia, e questo succeda anche ai giorni nostri, pochi uomini nella nostra città conoscevano
il numero dei mattoni impiegati per costruire il ponte sull’Adda. Tu Gino, eri uno di quelli.
Mi ricordo che tuo padre, tanti anni fa, possedeva il camion che trasporta va sabbia ghiaia dalla “Piarda Ferrari“,
Berton e del Col del Pret. Sul tuo camion c'era una scritta in bianco (El “Pula") visibile a tutta Lodi, il resto era tutto
di colore verde. E’ rimasto impresso nei miei ricordi di infanzia che un’altra famiglia del Borgo possedeva un camion simile,

che utilizzava peri trasporti.
Era la famiglia Magenes, e se non vado errato entrambe avevate dei modelli Dodge. Alla guida c’era il signor Acernozzi,
padre del nostro comune amico. Tutto questo risale al periodo successivo alla fine della seconda guerra mondiale,
all’anno 1947. La tua passione per l’Adda e le sua barche e peri camion non è mai mutata; quando eri ragazzo mi ricordo
che aiutavi tuo padre e guidavi il camion.
Oggi, dopo tanti anni, hai conservato intatto con tanta cura il vecchio barcone: hai tenuto vivo il ricordo dei barcaioli
di un tempo ormai/ontano, che farsela gioventù di oggi ha iniziato a riscoprire.
ll barcone di San Rocc scivola ancora sull’acqua del fiume, non più con i remi ma con i motori, in una serie di crociere

estive allietate da musica, merende a base di pesce e un buon bicchiere di vino. In questo modo possiamo riscoprire
la nostra Adda, forse un po’ malata e dimenticata. Chiudo queste mie righe ricordando un amico che tanto amò

il nostro fiume e la barca di San Rocc, che ci ha lasciato quale prezioso e gradito ricordo.

Sergio Zanaboni

Il mio rione e una delle sue tante storie

 

 

La Büsa sembra un nome strano ma penso perché sia situata più in basso sulla strada. Ecco perché è chiamata così.
Ora si è trasformata in Pub. Ho vissuto tanti anni di fianco alla Büsa e ritornando indietro con gli anni ne ho un bel ricordo.

Attualmente, quando ci passo vicino, nella mia mente si fanno vivi i miei ricordi più belli. di quando anch'io facevo parte
di quel bar. Ricordo Gianni e Luisa dietro ai loro bancone, la maestosa sala del biliardo, la sala delle carte, la loro buona cucina

e tutte le persone care che ho potuto conoscere; mi sono sempre sentito vive nella mente l'esposizione dei tavoli durante

il periodo estivo.
Le battaglie che si tenevano tra i due campioni italiani del ciclismo Bartali e Coppi che invadevano il Paese,

o la prima trasmissione in Tv di Mike Bongiorno che veniva trasmessa con puntualità, ogni giovedì.
Erano anni felici: nei 1952 nacque ’la società Wasken Boys. Formata da tanti giovani chiamati “Ragazzi in gamba”.
La cosa che infatti suscitò più clamore fu proprio il nome, forse troppo straniero per alcuni.
Cosi, nelle serate estive ci riunivamo davanti ai bar: rispetto ai fondatori noi eravamo molto più giovani.
Oggi, con tanti capelli bianchi ricordano la Wasken Boys dell'inizio ed è bello sentire le loro parole piene di nostalgia
per i ricordi di gioventù, per le poche mille lire spese per formare questo club che tanto bene ha fatto alia nostra città.
Era quello il periodo della nascita anche dei primi blue jeans: chi li indossava veniva definito come una specie di “teppista”.

La nostra serata era fatta di una granita o di un buon gelato fatto a mano della gelateria di Pampanin, poi di una
passeggiata sul ponte dell'Adda con qualche discussione prima del rientro a casa. All'indomani partivo per li lavoro
e come tanti miei ‘amici prendevo lo storico treno “Fogna”: dai Borgo fino alla stazione si andava In bicicletta,
presa di seconda mano.
Lasciavo li potente “mezzo” nel deposito della stazione e. dopo circa un'ora di viaggio in treno arrivavo finalmente
alla stazione milanese di Porta Romana. con tanto vapore e molto fumo nelle carrozze ma poco calore.
Era quello li primo treno che si fermava a Lodi. La partenza era sempre fissata alle sei del mattino se tutto andava bene,

anche se talvolta si perdeva qualche carrozza prima di arrivare a destinazione. Facevo le mie buone undici ore
di lavoro e alla sera tornavo quasi alle nove, mangiavo e nel frattempo vedevo il Carosello e le prime pubblicità in televisione.
Poi uscivo per rivedere la mia compagnia: si parlava a lungo dei primi complessi musicali, dei Beatles, di Mina,
di Celentano e del boogie italiano, delle prime sale da ballo all‘Isola Caprera, ai Malaraggia e al Napoleon.
E poi nel periodo estivo c'erano le Gerette e un grande entusiasmo per tutte le cose che si riuscivano a fare.
E mentre passavano gli anni, la popolarità di qualcuno cresceva: ad esempio, il calciatore Alberto Spelta finì a giocare
in serie A, Luigi Bisleri e Aldo Accerbi in serie C, Age Bassi faceva il giornalista alla Rai e il pittore Giuseppe Vailetti
insegnava ai suoi figli l'arte del dipingere.
Queste persone facevano parte delle nostre borgata, una delle più povere della città.
Sono sicuro che dentro dl loro ricordano sempre il loro Borgo e la loro città.
Vivendo tuttora sulla sponda destra del fiume, vedo il Borgo sempre con gioia ogni giorno, e ricordo i volti di tante
persone conosciute. Vivo pieno di ricordi anche di tutti coloro che ormai sono lontano dal nostro rione.
 

Sergio Zanaboni


Lungo il Fiume

 

Cari e tristi Barcaiolo e Lavandaia ne sono passati di anni da quando ero un piccolo ragazzo del Borgo,
quando vi vedevo con quei barconi pieni di sabbia e di ghiaia, il barcone a fior d'acqua viaggiava e poi, dopo aver

raccolto tutto ciò che serviva dal letto del fiume, venivi sempre a depositare sulla piarda della riva destra.
Con la tua carriola riportavi il carico, in attesa dei grossi barellieri; e si caricava ancora.
Quel barelliere si chiamava Lindo ed era alto e robusto, con i baffi, immancabili. Anche nei mesi più freddi questa era
la vita della città bassa, il suo ritmo profondo che batteva insieme con lo scorrere del fiume.
Ma con il passare dei mesi il tempo poi migliorava e quando arrivava aprile si potevano vedere delle barelle con tante lavandaie.

Forse un saluto, un sorriso una canzone e si passava la giornata: poi, nel campo delle lavandaie molta

biancheria era stesa al vento.
Dopo una giornata di lavoro veniva piegata e stirata e con la matita copiativa si riportava il costo del lavoro.
Gli anni passano e il tempo corre veloce, le cose moderne arrivano: le prime lavatrici, le prime televisioni, le prime draghe

e il nostro fiume dai colori splendidi sembra svanito nella sua brillantezza.
Non esistono più cesoie lungo l'Adda, ci mancano i pescatori come Giulini Manenti.
Di queste persone rimangono solo alcune foto e il loro gioioso ricordo. Ma il buon barcaiolo, ora vecchio e curvo,
quando vede tutto questo pensa che ne ha fatte di cose con il suo badile! Con il bastone va ora a passeggio lungo
il fiume anche in piena e non ha paura, ma solo dice: 'ti posso dominare ancora, togliendo dal tuo letto ciò che ci serve ancora”.
Il sapone era un disinfettante allora, e Il pesce era ottimo. Ora cambia colore, i bagnanti non si possono vedere più.
Solo schiuma e colorante. Lentamente, la nostra Adda è stata distrutta dalla modernità.

 

Sergio Zanaboni

(Un nostalgico della Bassa)

 

Così con Ruggero è iniziata la storia della "Wasken Boys"

 

In questi giorni è venuto a mancare Ruggero, un amico col quale tante persone erano legate dai tempi della gioventù,
per la sua generosità, disponibilità ed altruismo versò tutti . Nato alla Maddalena, era stato ben accettato in Borgo
al bar della Bὔsa" e da Piero “l'ost”, nel nuovo rione si era ben inserito e sposato con la "fiola del segiunin" di via X Maggio.
Io ebbi il piacere di conoscerlo quando da ragazzino incominciai a frequentare il bar la Büsa.
In questo bar negli anni 50 nacque da un gruppo di giovani frequentatori, dei quali il nostro amico Ruggero faceva parte,
una Società che in Seguito ha dato lustro alla città di Lodi, la Wasken Boys è che nonostante siano passati
molti anni, continua con successo a svolgere la sua attività sia in campo sportivo che in quello sociale, con particolare attenzione

verso le persone più deboli e bisognose.
Tutto incominciò nel bar; dalle discussioni fra tifosi di Coppi e quelli di Bartali e alla fine pensarono di fare una gara
in bicicletta con il percorso Lodi-Pandino-Spino-Lodi e fu proprio il nostro Ruggero che vinse per i Bartaliani.
In seguito il gruppo aumentò e si organizzò una squadra di calcio per partecipare ai tornei serali.
Una serata danzante organizzata all’Isola Caprera chiamata “Muchacho” portò un piccolo guadagno, quindi si pensò
ad organizzare per Santa Lucia una distribuzione di doni per i bambini più poveri, il successo della manifestazione fece nascere

la voglia di fondare una Società che avesse lo scopo di organizzare, attraverso l’impegno di persone disponibile, legate fra loro

da vincoli di amicizia e condivisione di ideali, di portare aiuto, serenità e divertimento a persone in difficoltà
e bisognose anche di momenti di allegria.
Si fondò la Wasken Boys e il primo Presidente fu Mario Padovani coadiuvato da un Consiglio Direttivo : il nome scelto
un po’ strano per quel tempo si riferiva ai ragazzi di quel tempo definiti “vaschi” per il loro modo di essere eleganti
e ben vestiti.
Negli anni successivi alle molte attività svolte in campo sportivo e sociale si aggiunge, da un’idea di Gigi Bisleri
il Palio di Lodi che da 31 anni coinvolge tutta la città in Piazza della Vittoria con la “Cursa dei cavai”e con un’altra manifestazione raduna i Lodigiani sulle rive dell’Adda per la discesa delle barche allegoriche e con lo scoppiettante
finale di fuochi d’artificio.
La “Cursa dei cavai” venne anche esportata a Costanza città gemellata con Lodi, in quell’occasione ogni cavallo portava
sul davanti uno scudo dipinto da artisti lodigiani con visioni di scorci della nostra città.
La trasferta a Costanza resta per tutti coloro che vi parteciparono un ricordo di un impegnativo lavoro di preparazione
e di realizzazione, ma anche un momento di amicizia, di allegria e di condivisione indimenticabile.
La scomparsa dell’Amico Ruggero è stata l’occasione per ricordare un gruppo di amici, solidarietà ed amicizia erano dei
valori che riuscivano a cementare sentimenti di persone diverse ma unite da nobili ideali, è per questo che noi tutti
che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti e di aver condiviso con Te momenti di spensierata allegria porteremo sempre
il Tuo ricordo nei nostri cuori.

Sergio Zanaboni

 Come sarà il Borgo del 2000


 

Il nuovo ponte, con la nuova tangenziale, dovrebbe essere finito entro il mese di maggio dell’anno prossimo.
Sì, avete capito bene: saremo nel 2000 finalmente, ormai sicuri che nemmeno il terzo millennio si sarà portato
via questo mondo così imperfetto e tanto, tanto amabile. Dicevamo però del ponte, e della tangenziale annessa.
Quando queste due opere saranno terminate, la via Borgo Adda perderà la sua connotazione di arteria importante per
il traffico. Potrebbe non essere difficile chiuderla al passaggio delle automobili; non per tutta la giornata: basterebbe
durante la sera, magari dalle otto e mezza fino a mezzanotte. Attualmente in Borgo ci sono una ventina di negozi vuoti.
Con l’aiuto dell’amministrazione comunale vale la pena di ricordare che senza il loro sostegno nell’assicurarci
i permessi necessari non si potrebbe realizzare mai nulla di quello che le nostre menti frullano in continuazione la nostra

associazione potrebbe a quel punto affittare questi negozi “a ore”, per poterli concedere ad artisti, artigiani, pittori,
scrittori, venditori e mercanti d'arte, venditori di tutto, venditori di idee.
in questo modo la nostra cara città potrebbe ritagliarsi uno spazio tutto nuovo, dove antico e moderno si mischieranno

creando quella miscela di stile e di tradizione, di arte e di cultura, di energia e di creatività che da sempre invidiamo
a Milano. Una fetta del Borgo potrebbe quindi diventare una piccolissima “Brera”, una miniatura assolutamente dignitosa
e di grande potenzialità per arricchire adeguatamente la città bassa e più in generale il capoluogo della nostra Provincia. 
Quello che si potrebbe costituire è un punto dove i Lodigiani e no potranno passeggiare tranquillamente,

interessandosi appunto di cultura, di arte, di storia,di di vita e di virtù. Sarà assicurato loro lo spazio giusto per liberare

la curiosità di vedere cose interessanti. Sarà soprattutto un luogo dove ritrovarsi, anche per scambiare le classiche due

chiacchiere del lampione oppure qualcosa di più di un parere.
Questo non è un progetto impossibile. E non fa ancora così caldo da pensare che la testa stia già “fumando", alla ricerca
di strane faccende bizzarre. Per realizzare questo progetto, innanzitutto non servono molti soldi.
Serve soprattutto quella grande volontà di concretizzarlo che "rimane l’elemento insostituibile e decisivo per ogni

operazione di questo tipo. Ci vogliono persone che abbiano la possibilità e l’intenzione di collaborare con noi.
E su questo argomento permettetemi. una breve digressione. Nei giorni scorsi abbiamo spedito a tutti soci il programma delle manifestazioni , vorrei lanciare un appello a tutti coloro che volessero partecipare alla realizzazione di queste manifestazioni: presentatevi senza paura; ' portando anche; idee nuove noi saremo ben lieti di ascoltarvi; di portare avanti
i vostri arricchimenti ”se 'ci riusciremo. Non vogliamo raccogliere altro con quello che seminiamo: il nostro obiettivo è soltanto

quello di rivedere il Borgo bello come lo era una volta, sorridente, popolato, in armonia con il suo
bellissimo fiume. Per questo aiuteremo all’infinito chi sta combattendo per mantenerlo un po’ più pulito.

Sergio Zanaboni

La mia Scuola


 

Era appena finita la seconda guerra mondiale ed io nel 1947 iniziavo perla prima volta la prima classe,

avevo la maestra Mezzera, una donna molto robusta ma anche molto alta, portava sempre delle trecce molto lunghe.
Svolsi i miei primi anni in via Paolo Gorini, penso faceva parte del Collegio Vescovile, ma era staccata da tutte

le altre sezioni; poi ci trasferirono alla scuola Serravalle dove terminai le scuole.
Mi ricordo che mia nonna mi accompagnava a scuola con un piccolo cavallino di legno che si trascinava tramite una cordicella,

questo era uno dei piccoli regali di Santa Lucia dei poveri; tuttora lo conservo con la massima cura.
Chi non ricorda il Signor Pallavera? Il bidello e custode della scuola, ogni tanto passava nei banconi dove ci sedavamo

permetterci l’inchiostro nei calamai; quei banchi erano piuttosto alti e tutti neri e qualche bambino non riusciva neanche

ad appoggiare i piedi sulle traverse di legno. Mi ricordo i miei pantaloni alla Zuava, così chiamati perché arrivavano

all’altezza delle ginocchia e si vedevano i calzettoni e scarpe a tutto spiano. Erano un paio di pantaloni di mio padre
adattati a me, oppure qualcuno prendeva delle divise da militare e si tingevano in blu ottenendo così un vestito intero,

questi abiti venivano tramandati da fratello in fratello, alcune volte erano troppo stretti oppure troppo larghi.
Ora ripassando davanti alla scuola penso a quanti custodi e quante maestre sono cambiati magari solo
da padre in figlio.
Nel 1995 abbiamo fatto un rimpatrio della mia classe e sono affiorati migliaia di ricordi vedendo le foto fatte allora, purtroppo

alcuni hanno molti capelli bianchi, altri dei baffi, alcuni calvi ed altri sono mancati purtroppo.
Altri alunni oggi nelle scuole, la vita continua e il tempo passa veloce, e gli altri ricordi continuano a vivere.

Sergio Zanaboni

La vita semplice di noi "Burghesan"

Gente povera ma onesta e solidale


 

Il tempo corre veloce ed arrivato ad una certa età mi tornano alla mente i ricordi della mia gioventù e le persone
con le quali ho condiviso quegli“ anni, dall’asilo alla scuola e all'oratorio, vivendo assieme quegli avvenimenti,
che a noi ragazzi sembravano importanti perché rompevano la monotonia della vita di tutti i giorni.
Ricordo quando nella nostra parrocchia arrivò il nuovo coadiutore don Felini che portò una ventata di rinnovamento
e di entusiasmo nella vita dell'oratorio che coinvolse tutti i ragazzi riorganizzando l'Azione Cattolica e la parte ricreativa.
All'oratorio del Borgo vi erano due altalene e sul muro laterale ricordo le scritte di Viva il Papa e di Viva il Vescovo.
All'arrivo di ogni piena tutto andava sott'acqua, non essendo ancora costruito l'argine, andava sotto la casotta dove
Dino Sacchi costruiva le barche, il campo di calcio, quello delle lavandaie e il "campin" dove vegliava e veglia ancora
la "Madunina”. Alla fine dell'anno catechistico in oratorio si faceva una domenica di allegria con vari giochi e gare

e con la cuccagna finale.

In agosto c'era la processione del nostro Patrono San Rocco per le strade del Borgo e ogni cinque anni la processione

veniva fatta con le barche sull’Adda partendo dalla piarda Ferrari per arrivare alla Canottieri Adda con la partecipazione

di tanti fedeli provenienti da tutti i rioni di Lodi.
La fine del periodo scolastico l’inizio dell'estate erano i momenti in cui i bagni in Adda diventavano la parte migliore

delle nostre vacanze, in un'acqua ancora pulita, dove si poteva bere alle sorgenti, dalle quali sgorgava un’ acqua

straordinariamente fresca. Il fiume in modo particolare nei giorni festivi era vivo e molto frequentato.
Le barche dei barcaioli che nei giorni lavorativi trasportavano con fatica ghiaia e sabbia, alla domenica lasciavano il posto
alle barche di chi sul fiume andava per divertirsi. Del Borgo vorrei ricordare i tanti piccoli laboratori e ditte nelle quali trovavano

lavoro tante persone.
Nel mio cortile vi erano due magazzini per la stagionatura dei formaggi, nella via vi erano le falegnamerie di Postini,
di Ferrari e di Casiraghi, un laboratorio di pasticceria , un colorificio, officine, il fabbro Picco, l'azienda di vini di Corvi,
il fotografo Fusari e tanti negozi, fruttivendoli, drogheria, panetterie, posterie e non mancavano le osterie e i tabaccai. 
Ora tutto è cambiato, è scomparso un mondo dove tutto era diverso, dove nei negozi la spesa veniva fatta facendo
segnare il costo su un libretto nella fiducia e nella speranza che a fine mese il conto venisse saldato, una solidarietà
fra gente povera ma onesta dove la parola data aveva più valore di un qualsiasi documento.

Sergio Zanaboni

Dalla Tipografia all'arte. Un cammino di passione

 

Continuando a frugare, nei miei ricordi, devo ritornare ai miei 13 anni d’età quando fui assunto nella ditta del
signor Enrico Canevara come litografo e serigrafico, venivo però utilizzato anche per decorazioni e imbiancatura:
era una ditta che aveva tanti lavori.
Alla mia età non mi facevo tanti problemi, dove c’era lavoro io andavo. Mia zia aveva lavorato in tipografia presso

la ditta Dell’Avo che si trovava dove ora c’è OVS (prima Upim). Dopo un pò lasciò come invalida ma la stampa rimase

sempre nel suo cuore e mi diceva: continua tu il lavoro di tipografo e avrai soddisfazioni dalla vita...
La tipografia Dell’Avo un giorno andò a fuoco, ma a Lodi continuarono le ditte Biancardi, Sobacchi, La Moderna e Senzalari.

Ritornando alla mia prima ditta, si stampava di tutto; dalle intestazioni su lastre di carta se la tiratura era poca oppure
su alluminio.
Il mio stampatore ed insegnante era Carlo Monti, da cui imparai anche la serigrafia (la parte ”artistica” del lavoro):
ricordo in particolare i manifesti della “festa dei fiori” organizzata da Enrico Achilli, il conosciutissimo Kilu.
A volte aiutava anche nello spolvero per la decorazione: il primo era stato il ceramista lodigiano Giuliano Bernareggi,
poi Luigi Calzi.
Quando lavoravo con loro dovevo riempire le parti più grosse, poi mi facevano lavare pennelli barattoli; controllavano
con un dito mi toccavano il viso e Bernareggi diceva: "Se ti pulisci, vuol dire che il pennello è sporco”.
Avevo 15 "anni e il mio pensiero maggiore era il libretto di lavoro. Mia madre un giorno vide nel cortile

dell’ Istituto Chemioterapico di San Grato il camioncino con la scritta “Tipografia Litografia Bianchi Milano.”
Si avvicinò al conducente e chiese se per caso avessero bisogno di un ragazzo. Lui rispose: “Signora le darò un colpo
di telefono per la risposta” e così avvenne.
Il lunedì successivo, alle 7 del mattino, ero a Milano in via ]enner n. 26, già assunto. Era dura, ma in una ditta così grossa

con dei bei capannoni si stampava per Motta, Alemagna, Omo, Baci Perugina, Colgate, Dixan e tanti altri.
Li rimasi per dieci anni lavorando 11 ore al giorno e a volte anche la domenica.
Un giorno, passando con un amico da Porta Romana e proseguendo per viale Filipetti vidi un’azienda che lavorava

per tante banche: era l’Officina‘ Carte Valori Turati e Lombardi. Entrai e parlai con il vicedirettore il quale mi disse

di compilare la richiesta, ma che sarebbe stato difficile entrare come capo macchina perché la precedenza era per i loro interni.
Successe che uno di loro quella settimana si fece male ad una mano perdendo due dita: il Venerdì mi chiamarono per una

prova che durò tre mesi. Fecero anche delle ricerche sulla mia vita privata, chi ero, cosa avevo fatto e poi si presentarono

a casa di mia nonna due carabinieri che chiesero anche se non ero mai stato in manette: mia nonna rispose che ero

sempre stato un bravo ragazzo e vedendola la sua agitazione i carabinieri le spiegarono che nelle azienda in cui avrei lavorato si stampavano soldi e serviva una certa sicurezza sul personale che vi operava. Rimasi li per ben 27 anni, fino alla pensione e ne ho stampati davvero tanti di assegni titoli, francobolli, euro per tutte le banche d’Italia e anche per

lo Stato italiano.

La cosa che comunque mi era sempre piaciuta fare era dipingere: provai qualche lavoro, ma mia madre disse che

non ero bravo, e così lasciai perdere. Con un amico d’infanzia andavo a vedere i dipinti nelle chiese e nelle gallerie di Lodi.
Nel 1970 conobbi Luigi Poletti, il quale aveva un torchio a mano per la stampa calcografica poi conobbi Benito Vailetti

e il primo gruppo di stampa da lui fondato, “Il Segno”. Qui si ritrovavano al sabato sera anche Teodoro Cotugno, Lilli Geri,

Luigi Majocchi e Vittorio Vailati: chi disegnava si preparava la lastra con la cera; altri incidevano, poi si procedeva con

la prova di stampa ed anche la tiratura. L’ultimo numero era il mio con dedica.
E’ stata organizzata anche una mostra ed il ricavato portato alla casa di riposo Santa Chiara, poi ogni anno veniva realizzata

la cartella per il Palio di Lodi In seguito conobbi Ugo Maffi, Pier Manca, Marchesi, Morandi, Buttaboni, Vanelli, Flavia Belò,

Bosoni e tanti altri, cercando di comprendere la loro pittura; il disegno, i colori, la profondità delle sfumature: era la mia vera

passione e lo è anche oggi.

 

Sergio Zanaboni

 

La Canottieri vive sempre nel ricordo dei suoi Soci


 

Tanti ricordi di una vita vissuta alla Canottieri, Società Lodigiana nata nel 1891 e che festeggerà nel 2016 il 125° anno
di fondazione. Sono passati 50 anni da quel Sabato sera in cui mi iscrissi alla Società Canottieri Adda.
Fu allora che due miei compagni d’infanzia, Gaetano Postini e Pino Monticelli firmarono la mia richiesta per essere
ammesso alla Società. Alla sede di via Marsala trovammo due consiglieri che dopo la compilazione della richiesta,
mi informarono che avrebbero dovuto portare in Consiglio la mia domanda prima di poter accedere alla società
ed ottenere la mia prima tessera, perché dovevano essere certi dell’integrità del nuovo socio.
Ricordo ancora oggi le parole di uno dei due consiglieri, un signore alto, il sig. Lombardini, che mi sono rimaste nel cuore:

“Questo ragazzo è figlio di un caro amico e posso garantire per lui”. Così anche lui firmò la mia richiesta e dal 1965 sono

iscritto alla società. Mi dispiace pensare che non ho mai ringraziato il sig. Lombardini per quel gesto, ma è rimasto
nei miei ricordi, in particolare l’ultima volta che l’ho incontrato alla Canottieri in compagnia del consigliere Maiocchi.
Il primo Presidente che ho conosciuto è stato il dott. Martini che rimase in carica per anni; di lui ricordo la passione
per i giardini della Canottieri che curava ogni mattina potando fiori e rose.
Lo vidi per l’ultima volta all’Ospedale Maggiore, quando feci visita ad un altro socio, Roberto Catufi, mio carissimo amico,

con il quale giocai molte partite a tennis. Il successivo Presidente fu il dott. Cantamessi.
In quel periodo ricordo con particolare affetto Bruno Pilatone che, dopo il lavoro come vigile del fuoco, dedicava molto

tempo alla Società rendendosi disponibile con attività di volontariato. Come non ricordare il custode Livio Scaricabarozzi gran lavoratore che, in occasione del Natale o del Capodanno, con il socio Migliorini (primo bagnino della società nonché scopritore

delle Grotte di Castellana), si esibiva tuffandosi in Adda dal trampolino di legno, con loro Belgè da tutti
conosciuto come Pluto. Fu poi la volta del Presidente sig. Bosoni, uomo di polso, molto capace nell’organizzazione
dei lavori per il mantenimento della Società. Con lui lavoravano Merlo come addetto alle pulizie, ricordato soprattutto
come campione di canottaggio; gli operai Giannone e Giannino, così sopranominati per via della differente costituzione fisica.

Un altro abile timoniere alla veneta fu Castelli, detto Giombi, che era solito controllare che le barche e i sandolini venissero

tenuti in ordine quando i soci rientravano dopo una gita sul fiume; era solito dire:

“la barca la spürga e la va netada se no ciapi el to num!”. In officina da ricordare anche Tortini e Novati, anche loro

infaticabili volontari. Fu poi il momento del campione Bombelli, anch’ egli vigile del fuoco, che quando remava veniva incitato

dal suo allenatore, Polledri, che lo seguiva in bicicletta lungo la sponda del fiume.
Leggendo il libro sulla storia della Canottieri Adda del 1991 vengono ricordati molti campioni lodigiani come
Bonagura e Pandini che tanto si sono impegnati ottenendo grandi soddisfazioni.
Successivamente con la Canoa iniziò un’altra epoca di campioni ed i primi ad avere questa passione furono
Antonio Dossena e Vittorio Cirini, quest’ultimo prima consigliere poi presidente: con loro P. Moroni, R. Eletti, C. Mulazzi
e tanti altri.
Fu poi la volta della prima palestra dove i nostri atleti si allenavano nonostante il freddo, protetti solo da pesanti porte
di ferro. Venne poi aperto il primo piccolo bar e ricordo particolarmente diversi gestori, in particolare il primo barista
Primo Scudellari; sul retro erano stati collocati alcuni tavoli e panche in legno e dopo un anno dall’apertura fu aggiunto
un jukebox presto tolto per non disturbare i tennisti che giocavano nei due campi di fianco al bar.
A quell’epoca risale il primo Torneo Dusi con la contemporanea nascita di promettenti tennisti quali Walter Costa
e Gino Garrone (entrambi Campioni Italiani e Vice Campioni Europei Over 65, con il Circolo Faustina), Alberto Ghisi,
Stefano Poiani, (Campione Italiano del Tennis Poste) i fratelli Tumiati e Baioni, i fratelli Bruno dei quali Nicola
classificato 156 a livello mondiale. Era bellissimo vedere tanti giocatori con una così grande passione per il tennis.
Tanti ricordano il maestro Achille Zecca, giocatore mancino che amava provare ed acquistare sempre nuove racchette
ed era sempre disposto a giocare una partitella, pur dichiarandosi stanco.
Allora per giocare bastava segnare il proprio nome su una lavagna e solo più tardi si passò ad utilizzare i “bollini” con
il controllo da parte del sig. Capuano affinchè tutti li utilizzassero correttamente.
La prima piscina risale, se non erro, al 1960 anche se molti proseguirono l’abitudine di fare il bagno in Adda poiché
l’acqua era ancora limpida e pulita.
Fu poi la volta del primo campo di calcio dove al sabato e alla domenica si disputavano cinque partite in quella che veniva

chiamata “La fossa dei leoni”. Rimaneva in gara la squadra che segnava il quinto goal e la squadra perdente lasciava
il posto ad una nuova squadra. Questo torneo di calcio fu vinto un anno dall’ "Armata Rossa" capitanata da Uccio Orsini,
mio caro amico; che piacere ricordare il momento in cui alzò al cielo la coppa vinta trionfando per il successo della sua squadra;

altre squadre che vinsero il torneo e/o parteciparono furono : i "Marion's" capitanati da Paolo Aliprandi (Jack),
i "Carioca" capitanati da Paolo Martini, "le Bèle Buche" e molte altre.
In quegli anni era uno spettacolo seguire le partite perché giocatori di seria A, B e C si divertivano ad organizzare incontri
nel fine settimana; giocavano infatti giocatori come Danova, Scorletti, Verdelli, Giavardi e il mitico

Giampiero Mazza (Stiles) mentre faceva anche la radiocronaca della partita.
Oggi si è formato un nuovo gruppo sotto la supervisione dell’ex campione di Hockey Marino Severgnini.
La squadra è composta da ragazzi di “mezza età” come Passamonti, Mazza, Orsini e tanti altri che ascoltano i consigli
del loro allenatore Marino, facendo anche una partita alla vigilia di Natale.
Ricordo poi le feste danzanti organizzate con la Wasken Boys, i giochi di ferragosto, la lipa e tanti altri divertimenti.
Più tardi fu costruita la seconda piscina nell’area adibita ai campi da tennis, che vennero spostati più in fondo e ad
un livello più basso venne creato il nuovo campo da calcio. Molti soci, non più giovanissimi, ricorderanno inoltre la
terrazza affacciata sul fiume, sopranominata “la terrazza della P2”dove una compagnia di amici si ritrovava a chiacchierare
e a prendere il sole; purtroppo ora la maggior parte di questi amici ci ha lasciato, ma quello spazio porta ancora quel nome.

Sulla terrazza allora sventolavano ancora il tricolore dell’Italia e la bandiera della Società, sarebbe bello ricollocarli.
Intanto i nomi di alcuni soci storici sulla lapide del capanno si sono un po’ sbiaditi, è un peccato perché sicuramente

meritavano di essere sempre ricordati come ringraziamento per aver creato e dato vita ad una società così bella.

 

Sergio Zanaboni

 

Ad un Amico Burghesan

 

Oggi è il 6 Agosto 2018, verso le ore 18 stavo uscendo dalla Canottieri Adda, dopo le mie ore trascorse seduto al tavolo
da gioco impegnato con il “Burraco”, che in questi tempi è diventato il gioco più praticato in tanti circoli ed oratori,
dove si svolgono gare febbrili.
Io purtroppo devo dire che non sono un grande giocatore ma ho due maestri che con pazienza mi aiutano e mi danno

un’infarinatura del gioco; uno è Franco l’altro è Pino che mi sopportano quando commetto degli errori.
Quando ero giovane non ho mai potuto giocare quando c’erano in palio dei soldi, perché ho sempre pensato

che perdere qualche lira al gioco sarebbe stata dura per me.
Tornando alla mia giornata di relax, ad un certo punto sento una voce che mi chiama; era il mio amico d’infanzia Gino
con il quale quando ci vediamo costruiamo i nostri ricordi del passato, i trascorsi sempre felici menzionando il calcio
con i “Nati stanchi”, dove hanno giocato a grandi livelli Alberto, Aldo e Gigi e rimembrando le nostre festicciole
di capodanno e quelle invernali nel seminterrato di Elio, con i relativi compleanni, avendo l’occasione di adocchiare
la prima ragazzina piacevole per ognuno di noi; poi riviviamo gli eventi del Palio con i nostri tanti amici.
Il ricordo più intenso riguarda la nostra visita a Costanza per il Palio quando durante il viaggio Adamo fece scendere
dal pulmino Pierluigi per fumare una sigaretta dicendogli: fuma, guarda le montagne di Aidi e canta.
Un'altra cosa che ci impegna molto e ci restituisce molte soddisfazioni è la Fondazione “Nüm del Burg cun quei de
la Madalena” fondata da me e Gino. Sono tanti i ricordi di cui vorrei parlare, dei ragazzi del borgo e del nostro rione.

Quando al termine della Quinta Elementare si doveva fare il garzoncino in qualche negozio; io da Acerbi Sport e Gino

da Baffelli, il parrucchiere in Corso Adda.
Allora ci scambiavamo dei piccoli giornalini, da Topolino a Tex Willer a Capitan Micky.
Ora dopo 65 anni chiedo se fosse possibile fare una foto con questi fumetti come ricordo degli anni felici della nostra gioventù.


Quegli anni del dopo guerra in cui eravamo volenterosi di imparare un lavoro per aiutare le nostre famiglie,
rimangono la cosa più bella della mia vita, con l’amicizia ed il dialogo, che rimarranno sempre nel mio cuore.

 

Sergio Zanaboni

Per tutti eri il "Mago"

ma per me resti sempre l'Amico sincero e modesto


Caro Aldo, è passato più di un anno dal quel triste giorno quando ci hai lasciato e alla nostra età spesso i ricordi

che portiamo nel cuore riaffiorano alla mente, assieme alla nostalgia. La nostra amicizia iniziata fin da  bambini

era il prosieguo dell’amicizia dei nostri genitori i quali avevano giocato insieme nelle fila del Fanfulla e poi continuata

sino alla morte di mio padre al ritorno dalla guerra d'Africa. Ricordo come fosse oggi il periodo quando venni

a lavorare come garzoncino nella bottega di tuo padre Maghin, come veniva chiamato per la sua bravura

di calciatore, che dopo l’attività calcistica vendeva articoli sportivi in Corso Adda quasi di fronte al Cinema Moderno,

dove nella vetrina erano sempre esposti oltre che agli articoli per caccia e pesca, anche i famosi palloni Parola.
Tutti i lunedì venivo mandato allo stadio del Fanfulla a ritirare palloni e scarpe da riparare e che dovevano essere riconsegnate entro due giorni. A quel tempo tuo padre era allenatore della seconda squadra del Fanfulla
e nel negozio venivano sempre a far visita i giocatori come Colombo, Capellini, Tanelli e tanti altri.
Ricordo anche e voglio condividerla qui sul Cittadino tutte le persone che ti hanno conosciuto in una foto dove
io te siamo sulla Vespa di tuo padre che per l' occasione ti diede il permesso di guidarla.
La tua passione, per il calcio e la tua bravura ti avevano portato dai campi del Borgo con l'Azzurra prima al Fanfulla,

poi al Sant’Angelo assieme ad altri giocatori lodigiani come Bisleri e Codecasa ed infine sei stato chiamato al Milan.
ln seguito quando hai abbandonato il calcio ed hai ripreso l'attività di tuo padre sei sempre rimasto ”el Magu”
ma per me sarai sempre l'amico sincero, modesto e di poche parole.
Ultimamente ti incontravo ogni tanto insieme a tuo cugino Scola al caffè Biffino con Poiani e Ferrari ed insieme facevamo una simpatica e nostalgica scampagnata nei ricordi del passato.
La tua scomparsa lo scorso anno ha colto tutti noi di sorpresa e ci ha provocato un immenso dolore dovuto alla nostra grande amicizia sui campi del Borgo, quelli di calcio e quelli della vita.
In questo triste anniversario ho voluto ricordare la nostra Amicizia ed onorare  la tua persona e la stima che abbiamo sempre avuto nei tuoi confronti. Ciao Aldo

Sergio Zanaboni

 
Rivedere le tue opere che ho stampato è stata un'emozione

 

Penso di aver incontrato per la prima volta Felice Vanelli all'età di 12 anni, quando assieme a Vailetti, Bosoni,
Volpi ed altri, con in spalla uno zaio, le cartelle con le tele ed il cavalletto venivano nel mio cortile a chiamare Angelo Carini

ed in bicicletta si avviavano verso la campagna lodigiana o sulle rive dell'Adda, per dipingere un cascinale o uno scorcio
del fiume che in quel momento colpiva la loro fantasia artistica. ln seguito ebbi l'opportunità di conoscerlo in occasione

dell'acquisto da parte mia di un suo quadro, nello studio di Palazzo Barni in Corso Vittorio dove lavorava al piano terreno
e sopra di lui al primo piano vi era lo studio di un altro pittore lodigiano, Natale Vecchietti. In quegli anni erano tanti
i Pittori di Lodi, che esprimevano la loro arte dipingendo sulle loro tele le vie, le piazze, i volti della gente, e gli angoli
nascosti di case e cortili, oppure le rive dell'Adda con le sue barche e lo scorrere lento del fiume.
La mia passione per la pittura ci fece diventare amici: ricordo quando mi facevi stampare le tue incisioni, come facevano

anche altri pittori. Le prime cinque le stampai nella ditta in cui lavoravo, al sabato con il permesso del mio direttore incuriosito

del risultato finale del lavoro.
Dopo tanti anni ho rivisto quelle incisioni esposte al Centro Radiologico Lodigiano e vedere il tuo lavoro da me stampato
su torchio a mano mi ha procurato una bella emozione.
Delle tue opere che più mi hanno colpito, ricordo in particolare gli affreschi delle chiese che più volte ho visitato,
scoprendo sempre qualcosa di nuovo con emozioni e sensazioni che rendevano la visita particolarmente piacevole.
Ricordo quando ci incontravamo per le vie di Lodi, tu sempre in bici, il tuo saluto caloroso ”ciao Sergio”

rimarrà sempre impresso nel mio cuore triste per la perdita di un caro amico.
Ma ora sono io che ti saluto per il lungo viaggio che devi fare per raggiungere la meta dove sono certo che incontrerai

tanti amici che ti hanno preceduto, con loro continuerai a confrontarti e discutere d'arte e magari continuare a dipingere

nuovi paesaggi di un mondo diverso e senz'altro migliore.
Mentre le tue opere che hai lasciato parleranno sempre di te perché in loro rimarrà  sempre il tuo spirito e chi le guarderà

sentirà la tua presenza. Ciao Felice

 

Sergio Zanaboni

 
Quei tempi spensierati tra i ragazzi del Borgo

 

Con i miei ricordi mi piace andare al periodo quando avevo otto anni e si iniziava a diventare dei fanciulli dell’Azione Cattolica, portavamo una fascia bianca al petto e poi si passava ad aspiranti, una “categoria" in più.
L’oratorio del Borgo a Lodi come locale non era grande, ma ci stavamo tutti; c’era una stanza destinata alle persone adulte,

un salone medio dove all’interno vi era un piccolo teatrino e il gioco delle bocce, in più uno stanzone con il bar.
Il responsabile era il sig. Granata, ma solo per gli uomini, poi c’erano altre tre stanze piccole per il coadiutore.
Lo stabile era decisamente datato e le lezioni di dottrina si tenevano dove era possibile, a volte le dovevamo farle in uno

Spogliatoio, dietro al teatrino ed eravamo parecchi. Ma si condivideva tutto in amicizia, in quei tempi cosi difficili,
di povertà, ci salutavamo tutti con sincerità insieme al coadiutore che era don Mario e aveva la passione di diventare cappellano militare: era soprannominato “il prete volante" perché lui e il figlio del sig. Massimini (il salumiere)
con il primo “Guzzino 125”, che era solo un po’ più di un biciclettone, erano finiti in Russia.
L’ arrivo del nostro sacerdote don Franco Pelini e della perpetua sig.ra Angela cambiò completamente le strutture dell’oratorio

ed iniziò un periodo migliore per noi, se non ricordo male contemporaneamente con la fine dell’ultima
guerra mondiale.
Le nostre giornate vennero così rallegrate da un’infinità di intrattenimenti con tornei di calcio, di pallacanestro, commedie,

gite e la festa di ferragosto: nel cortile dell'oratorio si tenevano corse a piedi, in bici e con gli asini, si organizzava anche
la cuccagna premiando i migliori volontari come Mario Versetti.
Si mise in piedi anche una pesca di beneficenza portando San Rocco nelle vie del Borgo. Eravamo tanti ragazzi,
(penso all’incirca 300 persone) tutti con il desiderio di giocare nella squadra dell’Azzurra.
Ma ad andare avanti era quelli bravi, mentre gli altri un po’ scarsini come il sottoscritto sparivano dalla cerchia dei
giocatori, a differenza di gente come Alberto Spelta; Aldo Acerbi, Luigi Bisleri, Natale Visiti, Andrea Verdelli,
Mario Cremonesi, Stefano Poiani che proseguirono la loro carriera calcistica con la squadra dell’Azzurra.
Se ben mi ricordo la squadra fu fondata da due sostenitori del nostro oratorio: Carlo Picco e Carlo Viotti che, secondo quanto

mi risulta, scelsero il nome per la società dopo essere stati colpiti da una particolare tonalità di colore del cielo mentre uscivano dall’oratorio.
Alcuni dei calciatori nominati passarono poi nella Società Adda, allora presieduta dal cavalier Dante Peia, e in seguito
anche al Fanfulla, alcuni addirittura riuscirono ad arrivare nelle serie superiori. Per noi l’oratorio era un ritrovo,
perché dai 14 anni iniziavamo a guardarci attorno alla ricerca di qualche ragazzina è poi se c’era la possibilità andavamo verso

le ore 16 tutti al famoso cinema Gaffurio.
Non ci spingeva la passione per il cinema, il vero motivo infatti era quello di fumare una sigaretta per sentirci più uomini,
ma il problema alla nostra età era quello di entrare dal tabaccaio e comprarne un pacchetto. Allora, prima di trovarci
all’ oratorio si raccoglievano i soldi. Chi 5 lire e chi poteva 10 o 20, e poi via la divisione delle sigarette.
Ma entrando dal sig. Ercul Rovida per comperarle, il tabaccaio chiedeva sempre “Per chi sono le sigarette?” allora ci si inventava

sempre una scusa, tipo “per me papà”. Il sig. Rovida allora metteva in una bustina quelle in più e finalmente
il pericolo era scampato.
Una domenica era il mio turno e le ultime parole del sig. Ercul furono: “Però ti el papà te ghe le pù Sergio": mi conosceva bene

perché abitavo di fronte al suo palazzo.
Quella domenica arrivai in oratorio e iniziai la divisione: una a testa a Eligio, Gino, Luciano, Mario e Natalino, poi Enzo,
Nino, Pino e Gianni, ma mentre le consegnavo a Gigi e Giuliano, mi colse di sorpresa l’insegnante Gino Madonini
il quale mi rimproverò davanti a tutti chiedendomi se mi ero reso conto di ciò che facevo, visto che il fumo nuoceva
e non poco alla nostra salute.
Dal momento del rimprovero capii la gravità di quanto stavo facendo; così in tutta la mia vita mai più toccai una sigaretta.
Quando se ne andò don Franco, arrivò e iniziò anche l’era di don Santino con la sua Lambretta: tutti la potevano usare
e così quella povera moto durò veramente poco perché venne distrutta da noi. Poi due anni più tardi ci venne il desiderio
di avvicinarci al bar La Busa, dove nei 1952 venne fondata la società Wasken Boys.
Erano “i maschi" di un tempo che avevano circa dai 10 ai 15 anni più di noi e vorrei ricordare alcuni dei fondatori:
il Presidente Padovani, Aguggini R., Bettè A, Bonelli F, Bonelli G., Carminati G., Casella 'A., Colombo S., Erba R., FerrariP.,

Ferrari R., Gazzi D., Giavazzi G., Giavazzi S.,  Gìlardoni L., Giulini E., Locatelli C., Lorandi D., Lupo P. , Mamoli A., Marchi A.,

Mutti A., Padovani M., Passerini O., Strepponi C., Tanelli F., Tanelli M., Tosca R., Vercelli W., Viotti O.,  Zanaboni L.
e tanti altri.
Quante partite al biliardino, quante corse in bici con la sfida tra Bartaliani e Coppiani il cui ricavato andava in beneficenza
per i bambini poveri, le feste di Santa Lucia con concreti aiuti anche a Santa Chiara, senza scordare l’attività sportiva
a partire dalle squadre di calcio dove milite il grande Giampiero Marini, arrivato a giocare nella nazionale.
Ma erano davvero tante le attività che rendevano la nostra società più forte e più conosciuta e famoso il bar,
gestito da Giovanni Giavazzi. Noi eravamo giovani, entravamo in punta di piedi per non essere spediti fuori.  
“Te se un fiulet", non si parlava ma si ascoltavano sempre i più anziani, che si ritenevano superiori a noi per tutte le loro

esperienze di vita.
La sede della Wasken Boys poi venne spostata e cambiò pure gestione ma i ricordi di quei tempi non tomano più.
Una cosa comunque è certa: furono momenti e ore felici per tutti noi !!!

 

Sergio Zanaboni

 
La Büsa era la nostra seconda casa, che nostalgia

 

Il tempo passa ma non cancella, ripercorrendo tutte le cose belle nei miei ricordi, è una cosa splendida rivedere persone
a cui sono stato a fianco giorno dopo giorno nel nostro bar la “Büsa”.
L’estate scorsa mentre mi trovavo alla Canottieri nei pressi della pista da ballo, seduto sotto alle piante per rinfrescarmi
un pochino nella calda giornata estiva ed in attesa di fare una partitina a carte incontro il cavalier Donato, suo fratello
e le rispettive mogli. Mi avvicino come al solito per salutarli e scambiare quattro parole e con piacere nasce il desiderio
di rivedere tutte quelle persone che frequentavano la nostra “Büsa”, rivedere quei volti un po’ cambiati, magari ora con
i capelli bianchi e qualcuno anche calvo, qualche altro amico purtroppo è già scomparso ma lo si ricorda sempre con gioia.
Chissà quanto lavoro è stato fatto, forse anche caro Cavaliere con qualche bicchierino in più per tenersi stretti i tesserati

oppure per attirare un nuovo socio (non penso mi riprenderai per quello che ho scritto), un gran bel gruppo che era l’autentica

forza, con la sua enorme vitalità, di questa società nata nel 1952.

Il nostro avvicinamento è avvenuto alla “Büsa” (forse chiamata così perché l’ingresso era leggermente più basso della via

principale del Borgo).
Il primo gestore era il signor Coppaloni, un omone alto e dalle mani grosse ma tanto buono con la moglie, una coppia
di gestori che ci faceva rigare tutti dritti, dalle compagnie dei più vecchi a noi giovani.
Alla sera alla Büsa le attività erano molte, si guardava il giro d’ Italia, poi c’erano le varie discussioni sulle squadre del cuore

(Inter, Milan e Juventus) ed i vari discorsi sulle partite a carte (briscola, scala 40; scopa d’assi}, le nostre battaglie

a biliardino.
Con I’ arrivo di Gianni Giavazzi cambiò il bancone, fu introdotta la cucina di Luisa e della sorella, venne apertala sala
da gioco delle carte.
Era un viavai di persone dalla città ai alta alla città bassa, poi arrivò anche la pasticceria.
Tempi davvero splendidi, ora quando passo da lì e vedo la targa un po’ sbiadita e il bar sempre chiuso durante la giornata
mi rattristo un po’ pensando ai momenti passati, con il pensiero di non poter più bere un Caffè e di rivedere quei
cari vecchi volti amici.

 

Sergio Zanaboni

 
L’ Adda che non c’è più, tra geraletti e “casote”

Erano davvero belli gli anni tra il 1945 e il 1960, quando le spiagge lodigiane erano piene di persone pronte a fare un bagno nell’Adda. Quando l’acqua si poteva ancora bere, quando nel fiume c’erano le sorgenti con le loro bollicine e si aspettava la domenica per fare una gita lungo il fiume, con i barconi dei barcaioli oppure con le barche prese a noleggio dai costruttori di barche, come quelle della famiglia Sacchi. Leggendo i vecchi giornali si parlava addirittura di persone che setacciavano il fiume

alla ricerca dell’oro. I miei ricordi sono tanti, forse perché le mie radici provengono dal Revellino e da via Lodino.
Posso dire però di essere un “Burghesan” puro, perché io e mia madre siamo nati in Borgo sotto al campanile, al numero 7. Abbiamo vissuto nella povertà, ma sempre pieni di gioia per ciò che si faceva.
Il vestito del papà passava al primo fratello, poi al secondo, fino a quando lo si portava al lavoro o lo si buttava.
Nei nostri cortili i gabinetti erano sulle ringhiere, uno per cinque famiglie, mentre la doccia era un bel “segion”

d’acqua con un bel pezzo di sapone. E poi il bagno nell’Adda, anche questo con il sapone, al primo, al secondo,

al terzo geraletto, al ponte dei tedeschi, come si diceva allora; all’Isolotto, dove c’era tanta sabbia e in alcuni punti anche tanta ghiaia.
C’erano le “casote” dei barcaioli: ricordo quella dei signori Merlo (Tigliu el duls) quella del Magnan ed altre in piarda Ferrari;

la casota del signor Lorandi, forse conosciuto come Gibüla, era un campione di canottaggio alla veneta,

alla Martinetta c’era Tanu Bastazza, al capanno il signor Pavesi. Insieme a tutta una serie di luoghi e spiagge.
Uno dei ricordi che mi è rimasto più impresso è legato a un uomo. Lo chiamavano Tarzan, ma il suo vero nome era
Angelo Molinari: si gettava dal pilone elettrico che c’era sulla Sponda dell’Adda e attraversava il fiume fino all’altro pilone.
Molte persone si allenavano al capanno. Si formavano dei gruppi di atleti, in particolare ricordo il maestro Zamproni,
la sua passione era anche la pittura, si firmava Pedi da Lodi e la città gli ha anche dedicato una via.

Sul fiume s’incontrava tanta altra gente appassionata di nuoto: la signorina Giuliana Serviati, Concardi, Bomati (Cirlu), Pagetti, Scarioni, Tansini, le sorelle Rasini. Nella memoria dei nostri padri era viva la presenza di don Luigi Savarè,

che accompagnava i ragazzi dell’oratorio all’Adda, in suo ricordo è stata realizzata anche una scultura in bronzo.
E chi non ricorda la casota de Balcon dove Maria cucinava pesce fritto e polenta, insieme al fratello Tano Balconi, uno
dei migliori pescatori del Lodigiano e anche un buon costruttore di canne da pesca fatte in bambù, la lunghezza era

dai sei metri in sù: con il fuoco le raddrizzava, le verniciava e poi venivano vendute nel negozio del famoso Acerbi detto Maghin, giocatore di calcio nel Fanfulla e poi nella Roma, nel 1942 Campione d’Italia, infine allenatore del Fanfulla.
In estate la gelateria Pampanin sistemava i tavoli per" gelati granite, una passeggiata sul ponte dell’Adda per prendere
un po’ di fresco e poi a casa, oppure un’ultima tappa dalla vedova Borelli che vendeva le angurie e se erano un po’ chiare nel tagliarle diceva “queste vengono buone peri militari”. Fette d’anguria si potevano mangiare anche vicino alla chiesa di San Rocco, da Napilli e Balconi, tenute in fresca con le colonne di ghiaccio.
Tutto questo, a ripensarci, mi mette tanta nostalgia, proprio come mi accade leggendo certi passaggi degli articoli
di Elisa Crotti e di  Andrea Maietti, ed anche un po’ di pelle d’oca.

 

Sergio Zanaboni

Un ricordo che dedico al mio caro Amico Elio

Ripenso con nostalgia a volte alle nostre festicciole fatte alla domenica pomeriggio nel seminterrato dell’amico Elio,
in Borgo: ci trovavamo tra ragazzi e ragazze, circa una trentina con dischi a non finire dal cha-cha-cha, al boogie-woogie,
a molti altri lenti (questi ultimi per noi ragazzi soprattutto erano importanti poiché si ballavano con la ragazzina delcuore

o la ragazza con cui si sperava di poter far colpo).
Nel seminterrato le pareti erano state ricoperte con delle canne in legno; il bancone del bar ristoro era stato realizzato con

dei mattoni a vista dal nostro caro amico Riccardo Negri, costruttore; il ricordo che ho di lui risale ai tempi in cui eravamo alla

scuola Serravalle e il nostro maestro Bastazza lo chiamava sempre Riccardo Cuor di Leone.
Nello locale c’erano luci rosse blu e bianche, la sala era circondata da panche foderate in rosso, in un angolo era stato posto

un tronco ricavato da un albero trovato lungo l’Adda portato nel seminterrato e lavorato dal nostro amico Vittorio Mise,
in cima alla spalliera un falco che sembrava controllasse tutti. Dopo qualche ballo, passavamo al piccolo rinfresco con pasticcini

e torte, coca-cola, aranciata, gazzosa e poco vino spumante.
Ricordo anche che all’ingresso vi era una freccia che indicava laporta, dove si trovava una targa con scritto “Sala di tortura”;

era un titolo spiritoso e chi entrava per la prima volta rimaneva un po’ perplesso.
Ritornando poi alle nostre feste domenicali, ideammo di costituire un piccolo club: quale nome dare? Scegliamo l’idea un

po’ originale e la denominazione fu “Nati stanchi”.
Dal lunedì al sabato lavoravamo tutti come piccoli garzoni per imparare il lavoro: la riunione venne indetta una sera di maggio

nella latteria di fronte a casa “Asti” La proprietaria era la carissima Lina la rossa (per i capelli colorati che erano bellissimi);

in seguito la latteria subì un cambio di proprietà con la famiglia Caggiati.
Per molti era un ritrovo settimanale: nelle ore serali si discuteva di tutto ed il primo Presidente per votazione fu eletto

Luigi Padovani mentre il cassiere fu Gino Cassinelli.
Ogm settimana mettevamo da parte qualche liretta per creare un fondo cassa, così con i soldi ricavati si istituì una quadra

di calcio; sulle maglie bianche e nere vi era lo stemma N.S. (Nati stanchi) ricamato a mano dalla gentilissima Loredana.
Dopo qualche torneo stabilimmo che il calcio non era per noi cosìimportante e smettemmo.
Durante la settimana ci trovavamo alla sera verso le 20,30 fino alle 23 con l’appuntamento per il giorno dopo al ritrovo
nella latteria.
Il pensiero di queste righe sulla nostra semplice gioventù, lo voglio dedicare a tutti gli amici, in particolare ad Elio
che ha lasciato la nostra città e al quale invierò “Il Cittadino” per fargli sapere che non ci siamo dimenticati di lui.

 

Sergio Zanaboni

 
L’ esperienza da Aviere, così diventai un uomo

 

Nei miei pensieri c’è un ricordo indelebile che risale alla mia vita da militare nell’anno 1964 quando partii per la scuola
V.A.M. , sul lago di Bracciano, vicino a Roma, con il corso 25° Gruppo dell’Aeronautica militare. I più duri sono stati i primi
venti giorni, me li ricordo ancora benissimo: tanta marcia e le cosiddette gamelle da lavare, all’inizio solo con erba e terra

perché allora non conoscevamo ancora il famoso detersivo per i piatti e le posate...
All’indomani del 21° giorno, al suono della tromba, in piedi a fare il letto a castello, una piccola tegina di latte e poi in
marcia al tiro a segno con il nostro fucile mitragliatore, zaino sulle spalle e via. Il primo aviere continuava facendo marciare

destra sinistra, voglio sentire una cannonata nel battere il piede destro. Tuttavia, per lo sbaglio di un aviere, mezzo plotone

girò sbagliato, così l’ora di pranzo arrivò alle ore 14 per punizione. Stanchi riprendemmo nel pomeriggio alle 15 fino a

tarda sera. Al termine mi coricai in branda stanco: non potevo più entrare nello stanzone, ma fui scoperto dal primo aviere,
al quale diedi delle spiegazioni “soffro di emicrania”, la punizione dissi, fammela domani e ti dico grazie, alle mie parole
mi confermò che la visita sarebbe avvenuta domani.
All’indomani mi presentai ma il dottore mi spedì subito all’ospedale del Celio di Roma nel quale fui ricoverato per ben
30 giorni. Diventai attendente nell’ufficio del reparto oculistico, dove conobbi un militare gravemente malato, che
purtroppo dopo due settimane ci lasciò. In visita a questo ragazzo arrivò un giorno il Papa buono Giovanni XXIII,
il quale per il nostro lavoro di assistenza ai degenti assegno a tutti noi una medaglia in ricordo, ebbi 30 giorni di premio
e tornai al mio lavoro a Milano.
Però nel ritorno restai in ufficio in attesa del 26° Gruppo V.A.M. ; io, un ragazzo di Bari e uno di Marsala.

Purtroppo, dopo due settimane il mio commilitone di Marsala si ammalò di meningite e essendo tutti nello stesso

ufficio siamo stati immediatamente ricoverati al Celio di Roma: io rimasi giorno e notte come piantone sulla porta della stanza

del malato, in caso di bisogno dovevamo chiamare il dottore.
Durò un mese il ricovero, per fortuna andò tutto bene. Prima di partire ci sottoposero ad ulteriori esami: tutto a posto.
Il padre e la madre di quel ragazzi ci volevano salutare e come segno di gratitudine mi strinsero in un forte abbraccio

dando a me ed al mio commilitone una busta con dei soldi. Il padre chiese ancora come poteva aiutarci, ad esempio

facendoci venire a fare il militare vicino a casa, e così fu: era una persona molto importante nella vita italiana.
Li ho rivisti dopo cinque anni e fu una sorpresa, perché tutta la sua famiglia era nella nostra città e mi fece una visita,
mi abbracciò e piangendo mi ringraziò di tutto cuore. Non so più nulla di tutti loro, anche se feci delle ricerche.
Arrivai a Piacenza San Polo al comando e mi misero nell’ufficio del comandante.
Era un lavoro di pulizia, telefono, appuntamenti, ma dopo pochi giorni non mi sentivo utile. Una mattina si presentò

il maresciallo Mario Martinbianco in cerca di un aviere da portare in aeroporto, alla base di San Damiano, come barista

addetto allo spaccio ufficiali, sottufficiali e truppa, ma la risposta da parte del comandante fu negativa,

questo aviere non si può toccare e rimane qui.
lo dietro le spalle dell’ufficiale feci dei segni (“Vengo io”), il maresciallo allora colse la palla al balzo e disse:
«Chiediamo all’aviere» , il comandante mi mise sull’ attenti e io risposi: “ Io ci vado se lei permette”.
Ricevetti una lavata di capo abbastanza forte, ma poi presi il mio zaino e fui trasferito in aeroporto.
Fu quasi come un padre per me il maresciallo. Di giorno al lavoro e tutte le sere lavoravo. Avevo imparato dai “nonni”
a costruire aerei in legno foderati in velluto, erano gli F84 della guerra di Corea, in più appresi anche il secondo lavoro
da realizzare con telai in legno: erano degli scialli in lana per donne.

L'ultima volta che vidi la base di San Damiano fu in occasione del 2° raduno del 50° Gruppo Volo C.B. in compagnia

di Walter Costa, poiché anche lui aviere V.A.M. del 45° corso di Viterbo. Parteciparono 2500 fra Avieri e Piloti, fu una

giornata indimenticabile, vedere i tornado, vecchi aerei, elicotteri, parlare con i piloti, le camerate ... tutto quasi come prima.

Ora la base è stata chiusa, ma con l'amico Walter tornerò per un ultimo saluto.
Non andavo mai in libera uscita, in quei mesi riuscii addirittura ad accumulare un piccolo “tesoretto” grazie al quale al ritorno

dal congedo fui in grado di sostenere le spese di due vestiti dal sarto sig. Piccoli che era anche sarto di mio padre, acquistai

la famosa Prinz soprannominata “vasca da bagno” e l’iscrizione alla società Canottieri Adda, grazie alla presentazione

di due soci miei amici, Gaetano Postini e Giuseppe Monticelli.
Ma devo dire che il più bel ricordo e amicizia e rispetto e per la famiglia del mio maresciallo che davvero fu come un padre
e con la quale dopo 52 anni sento sempre con piacere nel periodo delle feste natalizie.
La moglie mi ricorda sempre che due avieri si ricordano di suo marito, poi sospirando e piangendo per il ricordo
dell’amato coniuge lentamente si congeda al telefono..

 

Sergio Zanaboni

 

Un saluto da un 70enne Burghesan come te

Cara Burghesana, con piacere ho letto il tuo scritto che hai consegnato al nostro amico Augusto relativo al nostro passato,

ma non ha voluto farmi vedere né la firma e neanche il tuo nome. Penso che tu abbia all’incirca la nostra età e chissà
quante volte nel nostro Borgo ti avrò vista, forse i tuoi capelli erano biondi o forse eri mora.
Chissà quante volte ti avrò incrociato mentre andavi “in su” come se diseva una volta “Vò in piaśa”.
Dalle vetrine si vedevano all’interno delle belle commesse ma anche noi ai tempi eravamo dei bei ragazzi, non c’erano
solo guelfi della città alta.
Anche in Borgo c’erano tanti negozi, forse non ricordi anche se ora sono chiusi e un po’ lasciati andare, ma ricordo
benissimo la gioia di quando si entrava a comprare qualcosa e un sorriso fatto dalla commessa ti faceva uscire con
l’acquisto fatto e ancora più contento. Scrivi che ogni tanto ti rivedi al tuo specchio e nel tuo pensiero dici che non sei più

quella di una volta...
Io penso che abbiamo fatto tanto lavoro, chissà quante esperienze lavorative avrai fatto e che fatica perché dopo la guerra

c’era ben poco in giro e il primo lavoro che capitava lo prendevi al volo perché si aveva bisogno di soldi.
Ecco uno dei primi lavori che mi ricordo era alla fabbrica del “Filatoi” che ha dato lavoro a tante donne, poi c’era
il “Fabricon” e anche la chimica de San Grat, la Polenghi e Baffelli con dei turni di lavoro pesanti, senza dimenticare chi
per riuscire a raggranellare qualche soldo si era costretti ad andare a servire nelle case.

Magari ti avrò visto alla scuola Serravalle, sui vetrini del famoso fotografo del borgo, il sig. Fusari, oppure all’oratorio
o anche “adrè ada”. Io a quindici anni ero già a Milano a lavorare, magari anche ti ho visto, sul treno Lecce oppure sul
famoso “fogna”, sul quale in inverno c’era poco caldo ma tanto fumo. Se non vado errato ne 1957 c’erano ben 20 mila Lodigiani

che con le bici, a piedi, chi con l’Atm chi con i treni, andavano al lavorare nella grande città che ci dava da vivere,
io sono stato contento del mio lavoro ed ho continuato a farlo per ben 37 anni…
Facevo avanti e indietro a Milano, tornavo tardi alla sera e gli svaghi erano soltanto alla domenica al cinema Marzani
o al Moderno oppure al Gaffurio e di regola c’era la visione del primo spettacolo delle 20,30 perché altrimenti si faceva
troppo tardi e la mamma ti diceva “L’è questa l’ura de turnà a cà”?
Mi guardo anch’io allo specchio e vedo tanti capelli bianchi ma fino a quando il nostro papà di tutti noi ci guarda dal cielo
e ci regala la vita su questa terra, vivo ancora di tanti ricordi che gli amici e i nostri genitori ci hanno lasciato,
anche se penso che questo mondo è cambiato in peggio. Spero che per i nostri nipoti sia migliore.
Un saluto da un Burghesan settantenne come te.

 

Sergio Zanaboni

 

Vivevamo in due stanze ma erano davvero tempi felici

 

Qualche tempo fa mentre passava per il Borgo a Lodi e guardavo con nostalgia dentro i cortili, mi sono soffermato a guardare

il cortile dove abitavi Tu Antonio, e mi è tornato alla mente il nostro incontro il giorno di Santo Stefano quando

con una chiacchierata di una mezzora in piazza Duomo abbiamo ricordato il nostro passato.

Ripensando in questi giorni al nostro colloquio, mi sono tornati alla mente i tuoi amici d'infanzia Gianni M., Nino B.

e Bruno Z. e quante ragazzate, alcune belle alcune meno..., avete fatto insieme. lo era più piccolo di voi ma mi ricordo sempre

il tuo cortile nel quale vivevano dei miei parenti e delle tante punture che mi faceva tuo padre per curare il mio

mal di testa che tuttora mi affligge.

Ricordo con piacere i volti di tua nonna e di tua madre e quello di tuo padre sempre serio legato alla famiglia, e buon oratoriano.

Poi tua sorella che da parecchio tempo non vedo e suo marito, nipote del grande Presidente della

Soc. Calcistica Adda il Cav. Pea, sempre pronto ad aiutare persone in difficoltà. In quel periodo la sede della società  era

in Corso Adda presso il Ristorante 3 Gigli, peccato che nessuno abbia mai pensato ad un torneo di calcio o ad una coppa in

suo ricordo. Molti sono i ragazzi che hanno militato in questa squadra per poi passare alle categorie superiori.

Quante famiglie vivevano nel tuo cortile, penso una quindicina, a fianco a te la famiglia Postini con i suoi cinque figli,

Scolafuru ragazzo di carnagione scura da tutti chiamato ”savon", arbitro del CSI ora da tempo trasferitosi da Lodi, suo zio Brianza

che faceva l’imbianchino e il decoratore, mi ricordo quando dipinse la grotta della Madonna di Lourdes nella chiesa del Borgo

e sua sorella che quando mi vedeva mi prendeva in giro perché ero piccolo, ora la vedo con nostalgia al cimitero

di Riolo al fianco delle sue due figlie. Il tuo cortile era sempre pieno di ragazzi e ragazze, le sorelle Rossi il cui papà faceva

il falegname, la famiglia Zucchelli con il padre che era guardia giurata e le sue due figlie, tutti vivevano in due stanze

ed il gabinetto era unico per tutti in fondo alla ringhiera.

Fra i tanti ricordi non posso dimenticare la tua "Lambretta" comperata usata, sulla quale tra il manubrio ed il sedile eri arrivato addirittura a mettere un serbatoio per farla sembrare una moto.

Tu in quel periodo lavoravi a Milano come autista e viaggiavi sul più popolare dei treni di allora il “fogna" ed alla sera

ci ritrovavamo alla scuola serale per ottenere la licenza della 3° media con i Maestri Stefanelli e Pedrinazzi, e quando tornavamo

a casa tu e Boffi facevate la gara a cantare le più belle canzoni italiane del tempo e la tua voce era sempre

la più bella.

Ora nonostante gli anni è rimasta ancora potente e squillante e in chiesa tutti l'ascoltano con piacere.

Un amico mi ha confidato (con i dovuti scongiuri) che quando verrà il momento fatale vorrebbe essere accompagnato

verso l’eterno dalla tua voce…

Ciao Antonio da un tuo vecchio amico d'infanzia.

 

Sergio Zanaboni

 
Ricordo di un Pittore Burghesan

 

Un piacevole ricordo di un Amico d’infanzia, anche lui del Borgo; abitava in via Defendente, prima della casa dai mattoni

dipinti in rosso, dove sui muri esterni sono esposti alcuni piatti della Vecchia Lodi. Se ricordo bene, era stato il responsabile

della Vecchia Lodi e proprietario della casa stessa, dove sono esposte queste opere.

Mi riferisco ad Alfredo Angelini, pittore che di fronte alla sua abitazione aprì il primo studio di pittura. Ricordo la sua vita;

non era un oratoriano ma un ragazzo spesso solo ed isolato dal gruppo. Il nostro incontro avvenne quando entrambi

avevamo 15 anni ed Alfredo iniziò a lavorare da Canevara, come decoratore. Questo lavoro che ci accomunava, durò solo

2 anni, in quanto io andai a lavorare a Milano.

In seguito fece parte del Circolo di Pittura “Ada Negri” in Corso Roma, una galleria di fronte al cinema Mignon.

Ricordo il suo primo quadro, lo acquistai in una galleria/corniciaio; raffigurava la chiesa di San Filippo.

In seguito lo incontrai e mi disse: Sergio, potevi venire nel mio studio ad acquistare il quadro, noi ci conosciamo!!

Poi traslocò come casa e studio in via Sant’Alberto e di conseguenza ci siamo persi di vista.

Ma alle varie mostre che frequentavo vedevo alcuni suoi quadri e seguivo alcuni articoli di Aldo Caserini che descrivevano

la sua attività artistica.

Alla “casa di riposo” di Lodi sono esposti parecchi dei suoi quadri. Venne poi premiato nelle varie esposizioni di

via Oldrado da Ponte, alla Biblioteca di Pavia, ricevette il premio Modigliani nel 1976 al Naviglio di Milano, fu premiato

nel 1976 alla Galleria Sagittario a Salso Maggiore, ed all’Accademia d’Italia nel 1980.

Lo incontrai per l’ultima volta circa due mesi fa, poi non seppi più nulla; purtroppo seppi in ritardo che era mancato.

Penso di ricordarti così come pittore, e penso che Lassù incontrerai altri pittori Lodigiani e continuerete nella vostra

passione per l’arte ed il colore.

 

Sergio Zanaboni

 

Il cammino dei ricordi

Continuando a percorrere il cammino dei ricordi, mi torna nella mente quando presi la decisione di diventare socio della

Canottieri, poiché parecchi amici erano da tempo iscritti, vista la mia passione per il gioco del tennis decisi di provare

a cimentarmi nello sport una volta definito lo sport dei signori. Da giovane la domenica con la bicicletta di mia mamma

percorrevo la strada dietro alla Canottieri recintata da una rete metallica che mi consentiva di sbirciare all’interno ed osservare

i giocatori domandandomi se mai un giorno visti i pochi soldi per avere racchetta, palline, e le scarpe fossi riuscito a provare

con il tennis. Fu così che con i primi amici tennisti Pino F. e Stefano P. iniziai a scambiare qualche pallina e con sorpresa

devo dire che mi sono trovato subito bene  grazie alla pazienza dei miei avversari che erano un gradino più alto ma

oramai avevo deciso era lo sport tanto amato e desiderato e mi misi alla ricerca di un compagno per il doppio.

Un sabato pomeriggio incontrai l’amico Piero Montani appassionato pure lui e decidemmo di formare la coppia

di doppisti disposti ad affrontare partite divertenti con altri soci. Si giocava con racchette di legno la mia era una bellissima

Maxima Torneo per quel periodo un vero lusso e piano piano con Piero iniziammo anche ad iscriverci a tornei locali

ad esempio al Bocciodromo 4 Stagioni, zona Laghi con grande passione e qualche sconfitta. L’amicizia con Piero

si cimentò ancora di più scoprendo la sua passione per la pittura ed essendo molto portato per il disegno si interessò

con attenzione ai metodi di incisione di una lastra di rame con acido, e come comporre acque forti.

Piero a soli 44 anni fu nominato Cavaliere del Lavoro. La sua attività si svolse per anni alle Falk e oltre alla passione

per il disegno scoprii l’abilità con cui costruiva piccoli modelli di velieri e navi in bottiglie di vetro che conservava

con attenzione e riservatezza. Ho conosciuto molte persone dotate di creatività artistica che per loro scelta non hanno

mai voluto esporre le loro opere, sarebbe bello poterle ammirare in qualche galleria o esposizioni cittadine,

Piero era uno di queste persone.

Ti voglio ricordare così amico Piero.

 

Sergio Zanaboni

Ricordi del passato

 

Caro Aldo, ho letto recentemente sul Cittadino del riconoscimento che ti hanno conferito per la tua attività di giornalista

attento e sensibile scrivendo pagine intere sui pittori lodigiani essendo un appassionato di pittura.

Nei miei ricordi non posso dimenticare i nostri viaggi in treno verso Milano dove mi parlavi continuamente dei pittori lodigiani dicendomi che erano 125 artisti che sviluppavano varie tematiche di disegno, ti ascoltavo con molta attenzione e con delicatezza

mi dicevi che potevo far parte della lista poiché da molto tempo svolgevo la mia attività di decoratore serigrafico

e litografo…..quante risate.

Ricordo i nostri incontri al Bar la "Büsa", al Circolo Ada Negri e Vanoni, al Museo di Lodi, un divertimento ed un arricchimento

culturale che mi ha poi aiutato nella mia passione per la pittura.

Ho avuto il piacere di stampare per artisti da Vanelli, Vailetti, Maffi, Manca, Cotugno, Poletti, Vailati e tanti altri.

Il mio ricordo va in modo particolare per Ugo Maffi un caro amico che mi ha dato la possibilità di svolgere molte

tirature che rimarranno nel tempo.

Concludo caro Aldo ringraziandoti per la tua amicizia che non scorderò mai.

Ciao Aldo

 

Sergio Zanaboni